La Regione, che vanta una delle più alti percentuali invio il rapporto alla superficie vitata, sigla patto per un distretto biologico unico punto obiettivo monitorarne il vino con una banca dati, a oggi inesistente.

MARCHE FORMATO BIO DI ALESSANDRA PIUBELLO

Le Marche, unica regione al plurale italiana. Una pluralità di piccole aziende, spesso condotte da giovani, con un’altra parcellizzazione del territorio vitato. L’orgoglio marchigiano per la propria terra, per la propria vigna risale alla notte dei tempi. Una regione che ha sempre puntato sugli autoctoni, Verdicchio in testa. Secondo il rapporto Ismea-Qualivita 2020 il valore alla produzione si attesta intorno ai 106 milioni di euro. Le parole d’ordine sono: attivare delle strategie di promozione multicanale e puntare sull’enoturismo.

DUE CONSORZI IN STRATEGIA TRA DI LORO

L’Istituto marchigiano di tutela vini IMT associa 652 aziende per 12 Doc i 4Docg, rappresentando lo 89% dell’imbottigliato e il 45% della superficie vitata regionale con i suoi 7500 ettari. “Con l’Horeca che vale il 70% della nostra attività- afferma Alberto Mazzoni, direttore e anima del Consorzio sin dalla sua Fondazione nel ’99 – non possiamo dire che sia stato un anno facile, però non abbiamo giacenze preoccupanti e complessivamente abbiamo avuto un calo tra il 12 e il 18%. L’export virgola che è intorno al 35%, sta riprendendo, soprattutto in Usa, Giappone e Nord Europa. Siamo intervenuti sul disciplinare per liberalizzare il Bag-in-Box per il Verdicchio base e per far passare il Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore da Doc a Docgpercircoscrivere l’imbottigliamento in zona.”

Dei 24 milioni di bottiglie dei produttori IMT, circa 18 milioni sono di Verdicchio (Castelli di Jesi Matelica), che hanno segnato un +5,8%di imbottigliato nel 2020.La vendita di prossimità, l’e-commerce e un riposizionamento sulla Gdohanno “salvato” i produttori di vini marchigiani, Verdicchio in testa, confermato per il settimo anno di fila il bianco fermo più premiato dalle guide italiane.

“A oggi- afferma Mazzoni-i consorzi italiani non sono in grado di monitorare il trend del biologico, un modello produttivo sempre più strategico, medi assecondarne l’evoluzione attraverso maggiori punteggi nei bandi europei, nazionali e regionali. Le Marche, tra le regioni più bio in Europa in rapporto alla superficie vitata, hanno da poco siglato il patto per il distretto biologico unico che, grazie alla partecipazione della Regione e di tutte le sigle del comparto, diventerà la più grande area europea attenta allo sviluppo di una pratica sostenibile e alla salute dei consumatori la mia ferma intenzione è di portare queste istanze anche a livello nazionale.”

Il Consorzio Vini Piceni raggruppa 3 Doc e 1 Docg con 54 soci su 1500 ettari e 6 milioni di imbottigliato, con un export al 60% e un mercato equamente distribuito tra Horeca e Gdo. “Abbiamo visto – spiega Armando falcioni, consulente del Consorzio- un cambiamento del mercato nel corso dello scorso anno: è aumentato lo sfuso e il consumo in casa del vino, anche di categoria premium. Noi ci riteniamo custodi e ambasciatori del nostro territorio che ha 2500 anni di storia, e lo tuteliamo. Infatti l’81% dei socia vigneti in biologico. La nostra è una tradizione familiare a maggioranza rossista ma con alcuni vitigni bianchi emergenti come Pecorino e Passerina, per una produzione di nicchia destinata a mercati di qualità”. Il lavoro con IMT da anni e sinergico, per la promozione delle Marche in sintonia. E li accomuna anche il pensiero che nel futuro bisogna riportare al centro della vita dell’uomo la terra e l’agricoltura.

PAROLA AI LEADER

Leader di classifica Moncaro, cooperativa nata appunto a Moncaro nel 1964.Una produzione di circa 10 milioni di bottiglie, equamente suddivise tra Italia ed estero, su 1200 ettari, dei quali il 25% in biologico. quest’anno hanno ottenuto la certificazione Equalitas, che si basa sulla sostenibilità ambientale, etica ed economica. L’ultimo bilancio si è chiuso con +4%. I soci sono circa 800 e possono fare riferimento, a seconda dell’area viticola, ha tre cantine, una nei Castelli di Jesi, una nella zona del Conero e una nel Piceno. “La pandemia – spiega Luigi Gagliardini, direttore marketing – ha sconvolto quella che era la storica suddivisione dei canali di vendita. Nel 2020 ci siamo sbilanciati nel Gdo arrivando al 75% del totale.Il vino che vendiamo di più è sicuramente il Verdicchio dei Castelli di Jesi che rappresenta il 35% del totale. Per quello che riguarda l’export, siamo presenti in 40 paesi e seppur sia estremamente difficile in questo contesto di grande incertezza presupporre quale paese ripartirà penserei alla Cina, agli Stati Uniti e all’Europa”. Moncaroha appena avviato un progetto da 7,5 milioni di euro in collaborazione con il fornitore software e l’università di Ancona per la creazione, tra le altre cose, di una blockchain del vino per la tracciabilità del prodotto.

In seconda posizione troviamo Umani Ronchi, azienda nata nel ‘57,che attualmente si sviluppa su 240 ettari (con la vendemmia ’21 il 67% dei vigneti sarà inconduzione biologica) e circa 3 milioni di bottiglie prodotte, veicolate al 90% in Horeca, il resto in Gdo. L’export conta al 70% il 60 paesi, tra i quali spiccano Usa, Canada e Germania. “Nel 2020 – Dice il titolare Michele Bernetti – è stato fondamentale avere eterogeneità nei vari mercati. In Italia abbiamo avuto risultati molto importanti nel nostro punto vendita. Gli italiani hanno scoperto le nostre terre i nostri vini (noi siamo al 60% rossisti) e questo ci fa pensare ad un futuro puntato sempre più sull’accoglienza, con una divisione dedicata alle visite, e sull’enoturismo, con un programma di investimento di supporto al nostro Grand Hotel Palace di Ancona e al wine bar Wine not, dove organizzare eventi sul vino. Il 2021 è partito bene, sono ottimista anche sul valore medio della vendita, punto un po’ dolente nella nostra regione.Siamo stati flessibili, ci siamo adattati, stiamo gestendo la multicanalità, muovendoci con prudenza nell’e-commerce.La digitalizzazione è stata un’opportunità in questa pandemia consentendoci di risparmiarle nelle trasferte e di avere maggiori e veloci possibilità di contatto con importatori esteri”.

AZIENDE IN CRESCITA

In crescita con un +3% il fatturato del 2020 per Velenosi,altra azienda leader del territorio. Velenosi vini nasce nell’84, attualmente si estende su 192 ettari vitati (però la certificazione bio e al 26% ma verrà conclusa pian piano su tutti gli ettari). l’azienda produce 2 milioni e 300mila bottiglie, esportate per il 52% in 55 paesi esteri. i canali di distribuzione sono in Horecaper un 65%, Gdo 35% e e 5% nell’on-line. “Sono positiva – commenta Angela Piotti Velenosi – anche se il 2020 è stato un anno molto complicato. Siamo principalmente un’azienda ad anima rossista (60%) e il Montepulciano d’Abruzzo ha performato bene. Abbiamo scoperto che potevamo lavorare bene con l’on-line,con la digitalizzazione, attraverso la quale facciamo almeno due incontri al giorno con i social e con la produzione di filmati aziendali per mantenere i contatti con i nostri clienti. Anche se non potranno mai sostituire i rapporti diretti. Ci siamo ingegnati, tra poco avremo anche il nostro e-commerce, dopo un anno di gestazione. Anche se abbiamo davanti un ‘21 ancora nebuloso, confido nella Cina e nell’Asiache sono già ripartite, negli Usa e nel Canada che non è mai venuto meno”.

Cantina dei Colli Ripanisi piazza al quarto posto. “Il nostro fatturato – spiega Marco Pignotti,enologo e direttore tecnico della cantina sociale fondata nel ’69 – considerando che il mercato estero per noi ha subito una brusca frenata con l’8%, viene suddiviso al 50% in Horeca, il 37% nei wine shop di proprietà, 3% nella Gdo e 2% nell’e-commerce”. I loro vigneti, 820 ettari seguiti da circa 250 soci, sono al 48% inbio, in crescita costante annuale verso il Bo del 5%.

Passerina e Pecorino sono testa a testa nella classifica dei vitigni più venduti sul totale di 1500000 bottiglie. “Nel 2020 – racconta Pignotti – non ci siamo fermati con lo sviluppo ed il lancio sul mercato di nuovi prodotti abbiamo diversificato il rischio e questo ci ha aiutato a non perdere terreno, a conquistare nuove posizioni e a tenere fatturato. Abbiamo trasformatola crisi in occasione di crescita. La digitalizzazione poi,ha stravolto il nostro lavoro, organizzando degustazione anche di sera o di sabato, facendoci fare un salto in avanti”.

“Abbiamo chiuso in attivo l’anno scorso – commenta Stefano Antonucci, titolare di Santa Barbara– e nel 2021 siamo già a un +21%. il nostro vino più venduto è il Verdicchio dei Castelli di Jesi, con una percentuale del 70%. Credo molto nel territorio marchigiano, siamo preparati a livello qualitativo, abbiamo valorizzato ha interpretato al meglio il nostro stile, basato sugli autoctoni punto stiamo facendo squadrae le potenzialità a cui sono davvero molte. Quando mi chiedono comeproduco un vino, rispondo sempre che lo faccio ‘da bevitore’, ovvero, avendo assaggiato tantissimo nella mia vita, e anche tanti grandi vini, riesco a capire quando un vino è buono o no. quindi i miei vini portano in loro la mia esperienza, insieme a quella dell’enologo Luigi Lorenzetti e a quella dei miei collaboratori”. Antonucci che ha recentemente costruito una cantina più funzionale accanto al monastero dove ha sede l’azienda, vende le sue 1150000 bottiglie ricavate da 50 ettari in Italia per 48%, il resto all’estero in molti paesi seppur di piccola percentuale, sui quali la Germania ha la leadership. la segmentazione del mercato vede la prevalenza dell’Horeca, con un 90%.